Grafologo giudiziario in Napoli Cristiana Barone
L’identificazione della grafia che cos’è? Una disciplina, una scienza o un metodo scientifico? Un tempo la esplicitazione della “scienza” era associata e ad appannaggio della matematica, della fisica, della chimica, della filosofia… . Oramai nel processo di evoluzione si sono sviluppate molteplici specialità, tra cui l’analisi grafica.
“La scienza si presenta come un ambito rischioso che può condurre a risultati eccellenti ma anche a confusioni e smarrimenti. Di qui la responsabilità di chi (studiosi o analisti della grafia), che devono decidere della correttezza del modo di procedere, poiché non vi è un metodo univoco che garantisca la validità dell’indagine (tratto da Goethe e Darwin – la filosofia delle forme viventi” di Federica Cislaghi Campbell (1952) stabilì che la scienza è un tutto unico. Attesta che le divisioni tra i suoi rami sono in gran parte prodotti del pensiero senza ulteriore significato. La sua definizione di scienza è tanto profonda, quanto improbabile che incontri un accordo universale. Allo stesso modo, Sullivan (1949) scrisse: “La distinzione essenziale tra scienza e arte consiste nel fatto che la scienza fa appello al consenso universale, mentre l’arte no. Un’affermazione scientifica è aperta alla verifica da parte di chiunque, mentre un’opera dell’arte fa appello solo alle persone”.
Ciò che è importante nelle definizioni di Campbell e Sullivan è la necessità di un accordo universale che distingua la scienza dalle altre branche del puro apprendimento. Ne consegue che il metodo scientifico è semplicemente il quadro entro il quale si può realizzare un accordo universale nelle teorie, nelle leggi e nei principi di un campo della scienza. Pertanto il Metodo Scientifico è variegato, oggetto di studi, dibattiti e polemica tra tecnici (periti), avvocati e magistrati. Fatto sta che l’indagine dovrebbe essere rigorosa e soprattutto scientifica.
Ed eccoci al nodo cruciale.
Le premesse teoriche sono e restano teoriche. Riconducibili a pensieri, idee, concezioni. Descrivere un fenomeno non statico come la scrittura (grafo-dinamico), è realtà complessa ma non impossibile. Per rafforzare il convincimento del Giudice, il tecnico-perito deve essere in grado di spiegare i fenomeni, con i fatti. I criteri di una protocollarità di questa scienza è tutt’ora messa in discussione.
Ma ritorniamo ai Metodi.
Quello che esamina la struttura estetico-formale è il calligrafico. Fallimentare. Senza la valutazione del gesto grafico, avremmo un gesto statico. E quindi privo di variabili modificanti. Questo procedimento scientifico è ampiamente superato.
Poi c’è il Metodo Grafometrico, che Locard definisce teorico-empirico e valido (di dati- rapporti assiali, angolari…), pur riconoscendone i limiti. Per Ottolenghi, il buon senso critico, supera la necessità di ricorrere alle misurazioni o stime (attraverso il metodo descrittivo scientifico).
Il Sivieri e il Del Val Latierro – ribadiscono i limiti del metodo, mettendo in guardia gli studiosi dal “soffermarsi a misurare in millimetri” gli elementi soggettivi (le cosiddette variazioni personali). Osborn inquadra la perizia in modo tecnicistico: statistico- matematico.
Se è vero che la grafometria si attesta su ricerche di rilevamenti stabili e statistici è anche vero che di fronte ad una sola differenza su documenti autografi, crolla l’impalcatura concepita al millimetro. E ci si accontenta così di “tolleranti variazioni”.
Poniamoci una domanda. Se scriviamo a velocità differenti, velocità molto ma molto diverse, i dati “statistici” sarebbero inspiegabili nelle divergenze. Come si può misurare, o meglio “incasellare” il gesto grafico?
Il Metodo Grafonomico (o segnaletico descrittivo di Bertillon e Ottolenghi) considera il gesto grafico come elemento significativo e rilevante della personalità, quale prodotto neuromuscolare. Come nei sopralluoghi della Polizia scientifica e dei Carabinieri – sez. investigazioni scientifiche – ci si orienta in un metodo d’indagine (protocollo) chiaro: ponendo in primis attenzione ai connotati generali e particolari, così pure la analisi della grafia dovrebbe osservare questo criterio d’esplorazione, considerando utili e fondamentali molteplici elementi quali la velocità (spazio/tempo), le traiettorie, le dimensioni, direzioni e frequenza, alla ricerca del segno grafico “personale”.
Osserva l’Ottolenghi: “Non è necessario risalire alla grafologia per rilevare le deformazioni della scrittura; queste vengono necessariamente messe in evidenza da un metodologico esame descrittivo… in modo ben più completo che non potessero ottenere i grafologi”. Forma, dimensione, frequenza, posizione…ma soprattutto l’ambito di variabilità individuale che è la spontanea natura dello scrivente. A questo fa riferimento Ottolenghi.
Ed ancora, sul criterio storico, precisa che: ”è indispensabile che il perito si tenga assolutamente estraneo – finché non si è fatto un convincimento suo proprio – da ogni ricerca sul fatto, l’ambienti, l’interesse in gioco”. E termina: “…evidentemente, non si deve solo studiare il manoscritto ma si deve estendere l’indagine a tutta la personalità e a tutta la vita del sospettato”.
Poi c’è il Metodo Grafologico, che Klages inquadra quale legge dell’espressione – o movimento – del carattere di ciascuno. E’ l’aspetto emotivo della scrittura.
Ogni segno grafologico è legato ad una Scuola di pensiero (italiana, francese…). Questo metodo, Grafologico, ricerca le cause dei fenomeni, interpreta e individua il principio del segno prevalente (che per Moretti si differenzia in segno sostanziale, dominante e accidentale)… .
Ci sono poi i segni distintivi, battezzati da Moretti in “gesti fuggitivi” che rendono naturale l’attimo espressivo; di rilevante valore segnaletico. L’innaturalezza è indicativa per l’identificazione di un falso.
Ed ecco che si apre un altro squarcio tra grafologia peritale (grafonomico) e la cosiddetta visione grafologica (legata all’ambito psico-emotivo).
L’espressività è l’insieme di elementi. Vero è il divieto di introdurre in perizia cenni sulla personalità (art. 220cpp); ma come si potrebbe altrimenti esaminare il gesto grafico, cheè appunto un processo psicofisico? Per Goethe “la differenziazione delle forme è infinita. La molteplicità delle forme emerge a partire dalla forza della polarità, dal movimento di contrazione ed espansione (come accade nel movimento scrittorio) che caratterizza la natura quanto vita, il quale è così vario, così vago da non poter essere tradotto in termini matematici, tutt’al più può essere definito genericamente con una x e una y perché il processo creativo è unitario”. Ma mettere limiti sarebbe come non voler guardare avanti con tutti e due gli occhi aperti, bensì uno solo alla volta. La visione diventa parziale. Incompleta.
Manca ancora del tempo prima che al “Protocollo di perizia grafica” ci si arrivi, mettendo tutti d’accordo; a quella cosiddetta “metodologia comune”. Così pure le “leggi grafologiche” definite da Autori autorevoli, soppiantate poi da altrettanti Autori, che le hanno rivedute e corrette. Le “leggi” sono regolamenti disciplinate da norme. Ma chi le ha riscritte le ha verificate, collaudate, analizzate e condivise con la comunità di periti? Altrimenti non esiste “legge” bensì, una “scoperta-invenzione”, non validata.
E poi in ambito grafologico c’è la terminologia: ciascuno usa un linguaggio proprio; basterebbe attenersi alla lingua italiana. Esiste il vocabolario terminologico variabile, modificato nella scelta dei termini grafologici, in base alla “scuola” di appartenenza: il caos.
La strada – per la grafologia giudiziaria – è ancora lunga prima di poter rispondere alla domanda dell’incipit: cos’è? Una disciplina, una scienza o un metodo scientifico?
Mentre cerchiamo l’accordo universale su tutti gli elementi sopra descritti, Huber e Headrick (H. Identification – II edizione) hanno espresso la convinzione che “se c’è qualche speranza di ottenere accuratezza e precisione nei risultati degli esami e qualsiasi aspirazione ad acquisire il manto della scienza per la disciplina, gli esaminatori devono intraprendere la ricerca della misurazione nell’identificazione della grafia”.
Cole (1946) è stato uno dei primi ad affrontare la questione se l’identificazione della grafia sia classificabile quale scienza e ha fornito la risposta che molti altri hanno adottato quando richiesto: “Nel senso che è una conoscenza classificata, formulata e verificabile raccolta dall’osservazione, dalla ricerca ed esperimento, è conoscenza scientifica”.
Frattanto, siamo arrivati nell’era della “perizia scientifica” in balìa della tecnologia digitale del futuro.