L’indennità di accompagnamento è una prestazione assistenziale del tutto peculiare in cui l’intervento assistenziale non è indirizzato al sostentamento dei soggetti minorati nelle loro capacità di lavoro, ma è rivolto principalmente a sostenere il nucleo familiare onde incoraggiare a farsi carico dei suddetti soggetti. Infatti, la nozione di incapacità di compiere autonomamente le comuni attività del vivere quotidiano con carattere continuo comprende anche ipotesi in cui la necessità di far ricorso all’aiuto di terzi si manifesti nel corso della giornata ogni volta che il soggetto debba compiere una determinata attività per la quale non può fare a meno dell’aiuto di terzi.
L’art. 1 comma 3 della legge n. 18 del 1980 stabilisce che sono esclusi dall’indennità di accompagnamento gli “invalidi civili gravi ricoverati gratuitamente in istituto”. È dubbio se il legislatore, nel sancire l’esclusione dell’indennità abbia inteso significare che l’indennità di accompagnamento non è erogata in caso di ricovero presso qualsiasi struttura di cura ovvero se venga meno solo in caso di ricovero presso un “istituto”, vale a dire una struttura in cui, oltre alle cure mediche, venga garantita al paziente totalmente invalido e non autosufficiente un assistenza completa, anche di carattere personale, continuativa ed efficiente in ordine a tutti gli atti gli atti quotidiani della vita in cui l’indennità in parola è destinata a far fronte, tale da rendere superflua la presenza dei familiari o di terze persone.
In tema di indennità di accompagnamento la Cassazione (Cass. n. 2270 del 02.02.20017) ha affermato che “Il ricovero presso un ospedale pubblico non costituisce sic et simpliciter l’equivalente del ricovero in istituto ai sensi dell’art. 1 co. 3 della legge n. 18 del 1990, che esclude l’indennità agli invalidi civili ricoverati gratuitamente in istituto, e, pertanto, il beneficio può spettare all’invalido grave anche durante il ricovero ove si dimostri che le prestazioni assicurate dall’ospedale medesimo non esauriscono tutte le forme di assistenza di cui il paziente necessita”. Il beneficio dell’indennità di accompagnamento, afferma la Cassazione, non è quindi dovuto nel caso di ricovero in una struttura che garantisca alla persona totalmente invalida, oltre alle cure di natura medica in senso stretto, anche una assistenza completa di carattere personale continuativa ed efficiente per tutto ciò che attiene agli atti della vita quotidiana, tale da rendere superflua l’assistenza dei familiari.
Alla sentenza del 2007 ne sono seguite altre tutte conformi (Cass. civ. Sez. VI – Lavoro, Ord., 04-04-2013, n. 8227; Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., 03-12-2010, n. 24677; Cass. Civ. n. 28705 del 23-12-2011) nelle quali si è ribadito che il ricovero presso un ospedale pubblico non costituisce di per sé l’equivalente del ricovero in istituto, al quale fa riferimento l´ art. 1 della legge n. 18 del 1980 che esclude dall’indennità di accompagnamento gli “invalidi civili ricoverati gratuitamente in istituto” e che il beneficio, invece, è concesso alla persona invalida anche durante il ricovero in ospedale, dove si dimostri che le prestazioni assicurate dall’ospedale medesimo non esauriscono tutte le forme di assistenza di cui il paziente necessita per la vita quotidiana. A tali sentenze è succeduta anche un’interrogazione parlamentare, nr. 5/02980 della 18° legislatura seduta del 244 del 23.10.2019 alla XII Commissione affari sociali, volta a mettere in luce la problematica legata alla negazione dell’indennità di accompagnamento ai bambini ricoverati in ospedali pubblici. Interrogazione promossa da un’iniziativa dell’associazione “La casa di sabbia”.
Nonostante il meraviglioso apporto professionale del personale delle strutture sanitarie, che nell’adempimento del dovere s’impegnano con devozione e professionalità, le strutture ospedaliere pubbliche difettano di enormi carenze di organico e organizzative che comportano la necessità di fare affidamento sui familiari. Infatti, gli stessi operatori sanitari premono spesso, per esempio in caso di minori, sui genitori perché non lascino mai soli i piccoli, sia per esigente morali, vista la condizione in cui si trovano, sia per le conseguenze delle cure. La presenza dei familiari è pertanto di sollievo sia nelle cure quotidiane, sia soprattutto nel fornire un sostegno di tipo psicologico altrettanto importante di quello che possono garantire le cure. Un’assistenza di questo genere non è di certo garantita nelle strutture ospedaliere pubbliche, non potendo queste garantire gli standard di trattamento necessari da rendere superflua la presenza dei familiari. Figure che per natura risultano insostituibili in situazioni critiche.
Il fine dell’indennità di accompagnamento è anche quello di garantire che l’assistenza al familiare risulti più sopportabile e meno pesante. La stessa Cassazione afferma la necessità di dare rilevanza anche alla necessità da parte dei familiari di essere vicini al loro congiunto per sopperire ad eventuali carenze del personale o per stimolarlo emotivamente.
Nel caso di bambini ricoverati, la presenza dei genitori è quasi sempre imposta dagli ospedali (a volte formalmente con regolamenti interni dei singoli reparti, a volte in maniera meno esplicita). Inoltre, nel caso di minori, la costante presenza dei genitori nel corso dei ricoveri ospedalieri risulta necessaria per il semplice fatto che gli stessi devono prestare il consenso ai numerosi atti sanitari, difficilmente prevedibili, che possono essere praticati in occasioni di ricovero. Aggiungiamo che il ricovero ospedaliero è spesso effettuato nei pochi centri ospedalieri di alta specializzazione sui minori, situati lontani dalla propria abitazione e comporta spese ulteriori rispetto a quelle già pesanti che devono essere sostenute ogni giorno. Si aggiunga che la stessa Cassazione ha stabilito che l’indennità di accompagnamento non può essere sospesa o tagliata se durante i ricoveri è comunque necessaria la presenza di una persona per assistere il ricoverato.
Quindi in caso di ricovero presso strutture pubbliche, come gli ospedali, la sospensione dell’erogazione dell’indennità di accompagnamento non risulta giusta né in linea con le esigenze che la stessa prestazione è volta a tutelare.
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