La capacità sessuale di un individuo rientra nei diritti inviolabili tutelati dalla costituzione e di riflesso rientra nei diritti del coniuge.
Il danno biologico che determina una infertilità costituisce un danno esistenziale che pregiudica la normale evoluzione della persona umana e di conseguenza le stesse condizioni di vita del soggetto danneggiato, in quanto pregiudica la speranza confortante di avere una prole naturale. Ciò condiziona le scelte del danneggiato in un contesto in cui viene perduta la speranza confortante di poter diventare genitore, di formarsi una vera famiglia e di goderne gli effetti positivi quale luogo degli intangibili affetti reciproci e della scambievole solidarietà.
Il danno esistenziale nasce in tutti quei casi in cui un evento lesivo provoca un peggioramento della qualità della vita, o di quegli aspetti della vita dell’uomo costituzionalmente garantiti. Un danno che viene riconosciuto dalla giurisprudenza, ma spesso in connessione al danno biologico e quindi risarcibile in considerazione di questo.
Tuttavia, in alcuni casi il danno esistenziale insorge in un momento distinto da quello biologico, come nel caso del danno da rimbalzo. Per esempio, se un uomo subisce un errato intervento chirurgico che ne compromette le capacità sessuali e procreative, nasce, a seguito del riconoscimento dell’ingiustizia del danno, in capo alla coniuge dello stesso un danno esistenziale. La giurisprudenza sino ad oggi ha ricompreso questo tipo di danno esclusivamente in rapporto alla capacità di avere rapporti sessuali e di riflesso alla capacità di procreare. Tuttavia, anche la sola perdita della fertilità può provocare un danno esistenziale, in quanto viene meno nella coppia la possibilità di avere una famiglia naturale.
L’art. 29 della Costituzione riconosce la famiglia come “Società naturale fondata sul matrimonio”; l’art. 8, comma 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo tutela “Il diritto di ognuno al rispetto della propria vita privata e familiare” e negli articoli 1 e 2 della L. 1 dicembre 1970 n. 898, interpretati a contrariis, dai quali si desume l’essenza del matrimonio nella comunione materiale e spirituale dei coniugi. Ciò posto, il diritto del coniuge ai rapporti sessuali, allo ius in corpus, è strettamente e necessariamente connesso con l’uguale diritto dell’altro coniuge. La coesistenza parallela dei due uguali e reciproci diritti, comporta che il fatto del terzo che lede, sopprimendolo, il diritto di uno dei coniugi, cagionando a questi l’impossibilità di avere figli, è anche lesivo, contemporaneamente e direttamente, dell’uguale reciproco diritto dell’altro coniuge, necessariamente sopprimendolo. (Cass. 11 novembre 1986, n. 6607)
Nell’art. 2043 c.c. non vi è cenno alla patrimonialità, sicché, in via immediata va ammessa la risarcibilità del complessivo valore della persona, nella sua proiezione non solo economica ed oggettiva, ma anche soggettiva, e, quindi, della lesione di diritti primari, in quanto inerenti alla persona umana. Tra questi ultimi va compreso il diritto di ciascun coniuge non solo ad avere rapporti sessuali con l’altro, ma ad avere da quest’ultimo un figlio, normale e naturale evoluzione del rapporto matrimoniale, diritto avente come contenuto un aspetto dello svolgimento della persona di ciascun coniuge nell’ambito della famiglia, che è, pertanto, risarcibile in base al precetto di cui all’art. 2043 c.c. ed in base ai precetti costituzionali richiamati.
La Cassazione, in particolare, il cui pensiero è stato recepito e rafforzato dal Giudice Costituzionale, ha prospettato un’interpretazione costituzionalmente orientata anche dell’art. 2059 c.c., argomentando la preclusione letterale sulla risarcibilità del danno “nei casi determinati dalla legge”, nel senso di ammettere la risarcibilità del danno non solo nelle tradizionali ipotesi previste dalla legge, ma anche qualora la lesione coinvolga beni o interessi previsti e tutelati nella Costituzione. In tale prospettiva, quindi, quando viene in rilievo la lesione dell’intangibilità della normale evoluzione della famiglia, e l’inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell’ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la tutela è ricollegabile direttamente agli artt. 2, 29 e 30 Cost. (Cass. Sez. III 31 maggio 2003, n. 8828).
Uno spunto interessante al fine che ci occupa si rinviene nella progressiva individuazione ad opera della giurisprudenza costituzionale e di legittimità di un diritto alla sessualità, il quale viene considerato dapprima unitariamente, mentre via via si specifica nei vari aspetti di cui si compone, fino a configurare un distinto “diritto alla sessualità nella sua proiezione verso la procreazione” fondato e garantito quale interesse meritevole di tutela a livello costituzionale.
Il primo passo verso il riconoscimento di un diritto alla sessualità è stato compiuto dalla Cassazione, la quale nella decisione n. 6607/1986, ha risarcito il danno patito dal marito iure proprio per l’impossibilità di avere rapporti sessuali con la moglie in conseguenza delle affezioni alle vie genito-urinarie a costei causate dal fatto illecito del sanitario.
Da tali considerazioni, pertanto, si può trarre la conclusione che la Cassazione ha inteso ribadire l’esistenza di un diritto alla sessualità, di rilevanza costituzionale, riconducibile nella previsione dell’art. 2 Cost., la cui lesione anche soltanto psichica ha provocato nel titolare del diritto, oltre al danno biologico, un danno esistenziale risarcibile ai sensi dell’art. 2059 c.c.; inoltre, la Corte ha posto in luce come tale diritto si caratterizzi in relazione ad altri aspetti meritevoli di autonoma considerazione, inerenti alla procreazione o alla vita sessuale familiare, la cui sussistenza si collega direttamente alla qualità-status del soggetto titolare del diritto, e che devono essere presi in considerazione distintamente al fine di una congrua quantificazione del danno risarcibile, la cui rilevanza deve essere apprezzata e valutata equitativamente.