Dal piano pandemico dell’ O.M.S. alle ripercussioni giuridiche ed economiche
1.Raccomandazioni e Direttive dell’O.M.S.
Dalla fine del 2003, da quando cioè i focolai di influenza aviaria da virus A/H5N1 sono divenuti endemici nei volatili nell’area estremo orientale, e il virus ha causato infezioni gravi anche negli uomini, è diventato più concreto, prevedibile e persistente il rischio di una pandemia influenzale. Infatti, da più di dieci anni esperti, scienziati e organizzazioni mettevano in guardia gli Stati del rischio di una pandemia. Per questo motivo l’OMS ha raccomandato a tutti i Paesi di mettere a punto un Piano Pandemico[1] e di aggiornarlo costantemente seguendo linee guida concordate, questo avveniva nel 2005 alla luce delle modifiche dell’assetto epidemico mondiale e delle nuove emergenze, evidenti e concrete. Il Piano si doveva sviluppare secondo le sei fasi pandemiche dichiarate dall’OMS, prevedendo per ogni fase e livello obiettivi e azioni.
L’obiettivo del Piano doveva essere di rafforzare la preparazione alla pandemia a livello nazionale e locale, in modo da:
- identificare, confermare e descrivere rapidamente casi di influenza causati da nuovi sottotipi virali, in modo da riconoscere tempestivamente l’inizio della pandemia.
- Minimizzare il rischio di trasmissione e limitare la morbosità e la mortalità dovute alla pandemia.
- Ridurre l’impatto della pandemia sui servizi sanitari e sociali e assicurare il mantenimento dei servizi essenziali.
- Assicurare una adeguata formazione del personale coinvolto nella risposta alla pandemia.
- Garantire informazioni aggiornate e tempestive per i decisori, gli operatori sanitari, i media e il pubblico.
- Monitorare l’efficienza degli interventi intrapresi.
Le azioni chiave per raggiungere gli obiettivi prefissati del Piano sarebbero dovute essere:
- migliorare la sorveglianza epidemiologica e virologica.
- Attuare misure di prevenzione e controllo dell’infezione (misure di sanità pubblica, profilassi con antivirali, vaccinazione).
- Garantire il trattamento e l’assistenza dei casi.
- Mettere a punto piani di emergenza per mantenere la funzionalità dei servizi sanitari e altri servizi essenziali.
- Mettere a punto un piano di formazione.
- Mettere a punto adeguate strategie di comunicazione.
- Monitorare l’attuazione delle azioni pianificate per fase di rischio, le capacità/risorse esistenti per la risposta, le risorse aggiuntive necessarie, l’efficacia degli interventi intrapresi; il monitoraggio deve avvenire in maniera continuativa e trasversale, integrando e analizzando i dati provenienti dai diversi sistemi informativi.
Il principio ispiratore del Piano era l’assunto che emergenze globali richiedono risposte coordinate e globali, dove il momento di pianificazione deve essere condiviso dai responsabili delle decisioni e il momento dell’azione deve essere conosciuto prima del verificarsi dell’evento da tutti i soggetti coinvolti, in modo che ognuno sia in grado di giocare il suo ruolo e prendersi le sue responsabilità, creando un’azione congiunta e diretta in modo univoco. Una pandemia influenzale costituisce una minaccia per la sicurezza dello Stato: il coordinamento condiviso fra Stato e Regioni e la gestione coordinata dovevano costituire garanzia di armonizzazione delle misure con quelle che, raccomandate dall’OMS, avrebbero dovuto essere intraprese da altri Paesi.
Il Ministero della Salute doveva farsi carico di concordare con le Regioni le attività sanitarie e con i Dicasteri coinvolti le attività extrasanitarie necessarie per la preparazione e la risposta a una pandemia nonché gli aspetti etici, legali e internazionali, ivi compresi gli eventuali accordi bilaterali che si sarebbero dovuti rendere necessari con altri Paesi, a supporto delle attività.
Quindi da un impulso superiore, demandato al Ministero, organo che aveva la responsabilità di recepire le direttive sovranazionali, come quelle dell’OMS, doveva nascere un coordinamento e una collaborazione con i vari apparati sottostanti, regioni, direzioni sanitarie, singoli ospedali, strutture private, fino ad arrivare ai medici di base e alla medicina territoriale. Un sistema formato da diversi organi e individui i quali nei propri campi di appartenenza dovevano operare secondo direttive chiare ed univoche, ognuno il proprio compito, ma tutti verso il medesimo fine. Un piano limpido, chiaro, semplice, che avrebbe permesso, partendo dall’ultimo ingranaggio del sistema sanitario, di prevenire, limitare, controllare ed infine combattere la pandemia.
Tutto ciò non è mai avvenuto, eppure nulla era più prevedibile di una pandemia, un evento che si sussegue da milioni di anni e che da almeno 10 anni era alla base di tutte le raccomandazioni dell’OMS e degli scienziati, soprattutto sulla base dell’avanzamento dell’inquinamento e della deforestazione.
C’erano gli strumenti, ma è mancata la lungimiranza e la prevenzione; questa sconosciuta.
Il piano di prevenzione e risposta ad una pandemia prevedeva di difendere le prime linee, cioè gli operatori sanitari e gli ospedali, eppure proprio qui è mancato prima l’ascolto agli allarmi che già da dicembre venivano trasmessi, e poi il materiale per la difesa ed il contrasto: mascherine; tute protettive; tamponi; respiratori, strumenti che l’OMS aveva consigliato di stoccare in grande quantità. Sono mancate le organizzazioni, interne ed esterne, sono mancati gli strumenti, il supporto, un piano di raccolta dati, è mancato il coordinamento chiaro univoco tra gli enti, ed è stato questo che ha favorito il diffondersi del contagio.
Non è stato un evento eccezionale a sconvolgere la nazione, ma l’ottusa ostinazione ad ignorare la prevenzione. Nulla è più prevedibile di una pandemia influenzale, gli allarmi c’erano, le raccomandazioni anche, un piano d’emergenza, un’intimazione ad istruire ed informare il personale, la Cina ci ha dato il tempo di reagire, ma l’inerzia è persistita, l’ottusa e cieca speranza di non venir colpiti e di etichettare gli scienziati come allarmisti. Inoltre, l’OMS aveva confermato i dati cinesi con una mortalità del 2%, questo è stato un altro errore, oltre al fatto che la produzione dei presidi era stata demandata alla Cina.
Ciò è quello che è mancato dal punto di vista delle istruzioni e direttive dirette al contrasto delle pandemie, Oltre alla regionalizzazione della sanità che impedisce di fatto un vero piano. Tuttavia queste mancanze risultano essere ancor più allarmanti in correlazione alla somiglianza delle prevenzioni contro il COVID-19 con le prevenzioni che dal 1985 vengono dettate e consigliate contro le c.d. I.C.A. (infezioni correlate all’assistenza)
Infatti, le raccomandazioni che quotidianamente sentiamo come lavarsi le mani, coprirsi la bocca quando si starnutisce o tossisce, l’utilizzo di mascherine e guanti da parte degli operatori sanitari e visitatori negli ospedali, sono comuni e limpide linee guida da seguire in ogni caso, tuttavia sono i principi basilari che son mancati negli ospedali all’inizio della pandemia. Così come è mancato un sistema di sorveglianza, di raccolta dati e di risposta veloce, limpido e trasparente; prevenzione e controllo. Ciò che viene richiesto e raccomandato per il COVID-19 era la stessa cosa che dal 1985 veniva richiesto e raccomandato contro le ICA.
I vari allarmi che da dicembre si susseguivano su “strani polmoniti” sono rimasti bloccati nella burocrazia e nel ginepraio dell’antiquato sistema di sorveglianza, e quindi inattesi. Inoltre, negli ambienti ospedalieri la diffusione del virus si sarebbe potuta evitare, non solo seguendo le linee guida dell’OMS risalenti al 2005, ma rispettando i basilari principi di prevenzione comuni negli ambienti ospedalieri e di contrasto alle ICA, il più grave problema batteriologico negli ospedali ante-COVID-19.
Le infezioni ospedaliere erano la complicanza più frequente e grave dell’assistenza sanitaria. Si definiscono così le infezioni insorte durante il ricovero in ospedale, o dopo le dimissioni del paziente, che al momento dell’ingresso non erano manifeste clinicamente, né erano in incubazione. Sono l’effetto della progressiva introduzione di nuove tecnologie sanitarie, che se da una parte garantiscono la sopravvivenza a pazienti ad alto rischio di infezioni, dall’altra consentono l’ingresso dei microrganismi anche in sedi corporee normalmente sterili. Un altro elemento cruciale da considerare è l’emergenza di ceppi batterici resistenti agli antibiotici, visto il largo uso di questi farmaci a scopo profilattico o terapeutico. Negli ultimi anni l’assistenza sanitaria ha subito profondi cambiamenti. Mentre prima gli ospedali erano il luogo in cui si svolgeva la maggior parte degli interventi assistenziali, a partire dagli anni novanta sono aumentati sia i pazienti ricoverati in ospedale in gravi condizioni (quindi a elevato rischio di infezioni ospedaliere), sia i luoghi di cura extra-ospedalieri (residenze sanitarie assistite per anziani, assistenza domiciliare, assistenza ambulatoriale). Da qui la necessità di ampliare il concetto di infezioni ospedaliere a quello di infezioni correlate all’assistenza sanitaria e sociosanitaria (ICA).
2.Prevenzione e Contrasto alle I.C.A.e Misure di Sicurezza COVID-19
Ancor prima dell’avvento del COVID-19, il fenomeno della I.C.A. stava avendo un fortissimo incremento connesso alle problematiche connesse alla mancanza di antibiotici efficaci e all’aumento sempre crescente di vittime, tuttavia, la lotta a queste infezioni vedeva l’Italia all’ultimo posto in Europa pur avendo una legislazione risalente agli anni Ottanta, con un’incidenza pari al 6%, provocando così un caso di un paziente su 15 durante la degenza in ospedale. Ogni giorno, si verificano tredicimila casi di Infezione Ospedaliere per un totale di cinquecentotrentamila casi all’anno (rilevazioni ferme al 2016).
Questa lotta stava iniziando ad avere concreti successi grazie a basilari misure di controllo e prevenzione, pur con la farraginosità classica italiana. Si sono così accumulati programmi di ricerca, progetti di sorveglianza e contrasto, sistemi operativi innovativi. Tra gli esempi più rappresentativi ed efficaci possiamo senz’altro annoverare quello della Germania, in Europa, e, quello Modenese nella struttura dell’A.O.U. di Modena, a livello nazionale, che sta avendo edificanti risultati. Questi, si sono avuti riscrivendo le linee guida di prevenzione e coinvolgendo tutti gli enti per una definizione più rigida ed univoca dei criteri di uso degli antibiotici, incrementando il monitoraggio dei pazienti all’ingresso e aumentando la sensibilizzazione sulle regole del lavaggio delle mani e di prevenzione batteriologica; prima regola della prevenzione. Queste esperienze vincenti si sono basate su una reale concreta ed efficiente applicazione delle regole già esistenti e già collaudate, fondate: sulla prevenzione e sul controllo; sulla sensibilizzazione del personale, dei pazienti, dei visitatori; su una organizzazione univoca fra i vari enti; Su un sistema veloce, costante e trasparente di raccolta dati, e sull’importanza del lavaggio delle mani.
Nel sistema tedesco il Governo da anni ha messo a punto una programmazione/formazione per combattere la trasmissione di Infezioni Correlate all’Assistenza adottando una serie di misure precauzionali volte al contenimento dei contagi e la velocità di diffusione dei batteri/virus. Alla luce dell’esperienza maturata è probabile che l’impatto pandemico Covid-19 sia stato controllato in modo efficace poiché il sistema sanitario è culturalmente e scientificamente già testato. Banalizzando il concetto è certo che sin dall’accoglienza il paziente a rischio infezione da Coronavirus sia stato trattato seguendo pedissequamente le stesse linee guida ICA (mascherine, divisione dei reparti , lavaggio mani, sanificazione ambientali etc.)
A supporto della bontà del modello tedesco la straordinaria esperienza del cosiddetto ‘’modello modenese’’ governato dalla proff.ssa Cristina Mussini e dalla Dott.ssa Elena Vecchi, per le quali illuminante ne è stato l’approccio, con una riduzione delle infezioni del 90% e notevole risparmio economico.
‘’Una realtà non irraggiungibile: abbiamo solo messo in atto rigorosamente interventi suggeriti anche dalla nostra Regione, che possono essere adottati da tutti’’, spiega la Mussini.
Citando qualche numero, la Germania con un popolo di 83 milioni, ha registrato circa 144 mila contagi, di cui 4400 morti: 1 cittadino su 576 ha contratto il virus, ogni 32 contagi 1 morto. Inoltre, la Germania ha realizzato un numero altissimo di tamponi.
L’Italia, con un popolo di 60 milioni, ha registrato circa 180 mila contagi, registrati 23700 morti: 1 cittadino su 333 ha contratto il virus, ogni 7 contagi 1 morto.
L’Istituto Superiore di Sanità con documento pubblicato il 17.04.2020[2] contenente le indicazioni ad interim per la prevenzione e il controllo dell’infezione da SARS-COV-2 in strutture residenziali sociosanitarie ha poi confermato la correlazione dei due fenomeni, in ordine alla prevenzione ed al controllo specificando che tali ambiti, nella gestione di eventuali casi sospetti/probabili/confermati di COVID19, dovrebbero trovare sempre origine dai principi fondamentali di prevenzione e controllo delle infezioni correlate all’assistenza (ICA)[3]. Infatti, le misure di precauzione sono le stesse che si debbono avere per l’isolamento droplet, cioè respiratorio.
Di seguito le misure di prevenzione e le raccomandazioni per le ICA e per il Covid19[4]
Infezioni Correlate all’Assistenza (I.C.A.) | Nuovo Coronavirus |
Lavaggio corretto delle mani | Lavaggio corretto delle mani |
Realizzazione piano di controllo e prevenzione delle Infezioni | Realizzazione piano di controllo e prevenzione delle Infezioni specificamente per il Covid |
Procedure per la sanificazione ambientale | Procedure per la sanificazione ambientale |
Formazione e addestramento del personale: misure di prevenzione e utilizzo dei Dispositivi di Protezione Individuale | Formazione e addestramento del personale: misure di prevenzione e utilizzo dei Dispositivi di Protezione Individuale |
Individuazione nella struttura di aree separate per consentire l’isolamento | Individuazione nella struttura di aree separate per consentire l’isolamento |
Attività di sorveglianza delle infezioni, identificazione, monitorare i progressi, controllo tempestivo delle epidemie. (cfr doc. ministero Salute) | Sorveglianza sanitaria, monitoraggio delle fonti di salute pubblica (locali, regionali e nazionali) |
assicurare attraverso il referente il coordinamento di tutti gli interventi e garantire un flusso informativo efficace e i rapporti con gli Enti e le Strutture di riferimento (Dipartimento di Prevenzione, Distretti e Aziende Sanitarie), | assicurare attraverso il referente il coordinamento di tutti gli interventi e garantire un flusso informativo efficace e i rapporti con gli Enti e le Strutture di riferimento (Dipartimento di Prevenzione, Distretti e Aziende Sanitarie),
(cfr ISS DI APRILE 2020) |
sensibilizzazione e formazione dei residenti e dei visitatori | sensibilizzazione e formazione dei residenti e dei visitatori |
Smaltimento sanitario | Smaltimento sanitario |
Dispositivi di Protezione Individuale:
Utilizzo dei guanti, solo a contatto con fluidi, non con il paziente, e rimozione di ogni oggetto personale | Utilizzo dei guanti e rimozione di ogni oggetto personale (cfr.pag. 5 doc. febbraio 2020 Ministero della salute) |
Mascherina chirurgica | Mascherina chirurgica:
in base alla valutazione del rischio della struttura: facciale filtrante (FFP2 o FFP3) (cfr. pag. 11dell ISS). |
Indossare un sovracamice nel contatto diretto con il paziente | Camici e sovracamici monouso |
quando non ci sia il sospetto di un’infezione aerea che richieda una protezione respiratoria, indossare uno dei seguenti DPI: schermo facciale che copra completamente la parte anteriore e laterale del volto; maschera con annessa visiera o mascherina con occhiali di protezione (oltre a guanti e sovracamice) | protezione facciale, tuta protettiva, doppi guanti non sterili, protezione per gli occhi |
Se fosse necessario mettere nella stessa stanza un paziente che richiede precauzioni per goccioline e uno che NON ha la stessa infezione, assicurarsi che i due pazienti siano posti a una distanza superiore a 1 metro l’uno dall’altro | Distanziamento sociale (generale) |
Tali sistemi avrebbero non solo reso meno incisiva la pandemia COVID-19, ma avrebbero soprattutto reso più sicuri i nostri ospedali avvantaggiando, aiutando e garantendo il lavoro dei nostri operatori sanitari, i quali si sono ritrovati, con un sicuro supporto morale da parte del governo e della popolazione, ma senza mezzi e in concreto, quindi, abbandonati, con le giuste eccezioni di alcune Regioni e di alcuni presidi che hanno avuto strumenti e supporto tecnico.
3.Il Principio di Precauzione
Il c.d. “principio di precauzione”, di derivazione comunitaria (art. 7, Regolamento n. 178 del 2002), impone che quando sussistono incertezze o un ragionevole dubbio riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, possono essere adottate misure di protezione senza dover attendere che siano pienamente dimostrate l’effettiva esistenza e la gravità di tali rischi.
In breve:
– Ragionevole dubbio del pericolo
– Anticipazione dei tempi, non occorre attendere la certezza
– Specificità del rischio e costante aggiornamento per ponderare gli interventi da attuare
La Comunicazione della Commissione Europea del 2 febbraio 2000 ha fornito indicazioni di indirizzo in merito alle condizioni di applicazione del principio di precauzione, individuandole come segue: (i) Sussistenza di indicazioni ricavate da una valutazione scientifica oggettiva che consentano di dedurre ragionevolmente l’esistenza di un rischio per l’ambiente o la salute umana; (ii) Situazione di incertezza scientifica oggettiva che riguardi l’entità o la gestione del rischio, tale per cui non possano determinarsene con esattezza la portata e gli effetti.
Nella prospettiva della Commissione Europea, l’azione precauzionale è pertanto giustificata solo quando vi sia stata l’identificazione degli effetti potenzialmente negativi (rischio) sulla base di dati scientifici, seri, oggettivi e disponibili, nonché di un “ragionamento rigorosamente logico” anche in presenza di un’ampia incertezza scientifica sulla “portata” del suddetto rischio.
Il Principio in analisi non si basa dunque sulla disponibilità di dati che provino la presenza di un rischio, bensì sull’assenza di dati che assicurino il contrario anche oltre ogni ragionevole dubbio. Dalla suesposta analisi emerge evidentemente un uso distorto del Principio stesso, che a nessun altro può giovare se non a qualche politicante o personaggio mediatico in cerca visibilità facendo leva sulle paure ancestrali della gente.
Riassumendo, quando si parla di uso distorto del principio di precauzione ci si riferisce soprattutto a formulazioni estremistiche come quella di chi sostiene che ogni attività che produce rischi dovrebbe essere fermata fin tanto che non sia riuscita a dimostrare la propria totale innocuità, invertendo così l’onere della prova[5]. Il rischio zero è un obiettivo irraggiungibile e sbagliato, e il Principio di Precauzione non può puntare a questo.
Orbene anche in presenza di dati certi che provino la presenza di un rischio, nulla è stato fatto in ordine alla prevenzione e al controllo.
L’Italia conta il 30% dei casi fatali di tutta Europa ed il tasso di resistenza causa nel nostro Paese 7.800 morti l’anno in ambito ospedaliero. Dall’analisi è emerso che in Italia il tasso di prevalenza I.C.A. passa dal 6,3% del 2013 al 8,03% attuale – segnando un peggioramento del 27% dati che si riferiscono al 2016, ad oggi non esiste alcun dato statistico.
Esiste tuttavia un’altro dato certo rappresentato dal fatto che il 50% dei casi di infezioni sono prevedibili ed evitabili (!) con la concreta e tempestiva attuazione delle misure ut supra descritte.
4.Epidemia COVID-19: Uno sguardo sui numeri
La mancata attuazione delle misure atte a contenere l’epidemia, nonostante la sua comprovata diffusione già in corso in altre nazioni, non può non determinare una responsabilità a livello nazionale e regionale verso quei soggetti di diritto, preposti all’attuazione delle misure di sicurezza indispensabili a garantire la pubblica incolumità.
Tali carenze organizzative e omissioni hanno permesso ai dati di deflagrare clamorosamente generando una ecatombe sanitaria ed economica e producendo effetti mortiferi sulla popolazione, sul personale medico sanitario, sulla finanza nazionale.
Da inizio epidemia sono 35 gli infermieri deceduti per Covid-19 e 14.923 quelli contagiati, con incremento medio di 1000 unità a settimana. I dati sono stati resi noti dalla Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche (Fnopi), la quale rileva che gli infermieri costituiscono la categoria sanitaria che conta il maggior numero di positivi: il 52% di tutti gli operatori.
Il totale dei decessi dei medici, come si apprende dalla Federazione nazionale degli ordini dei medici (Fnomceo), sale a 150.
Pertanto salgono a 19.942 gli operatori sanitari contagiati dal nuovo coronavirus, come da prospetto indicato (tab. 1). Tanto è reso noto dal presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici (Fnomceo), Filippo Anelli, sulla base degli ultimi dati dell’Istituto superiore di sanità, il quale, in occasione della Giornata Mondiale della Salute, ha ringraziato medici, infermieri e operatori affermando che: “È nell’impegno universale e solidale alla salute la chiave per uscire dalla pandemia di Covid-19”.
TABELLA 1: PERSONALE SANITARIO
CONTAGIATI | DECEDUTI | TOTALE | |
MEDICI | 4.836 | 150 | 4.986 |
PERSONALE INFERMIERISTICO
ED OSPEDALIERO |
14.923 | 32 | 14.955 |
Questi i dati, ad oggi, della infezione tra il personale sanitario[6].
Se i contagiati ammontano ad un totale complessivo di 19.942, tra medici, infermieri e personale sanitario è evidente che qualcosa è andato storto.
Se i soccorritori si ammalano in proporzione così elevata è indubitabile che vi sia una falla, o più di una nel sistema sanitario.
Il problema riguarda l’intero territorio nazionale in quanto i contagi si riscontrano in tutte le regioni, come da tabella allegata (tab. 2).
TABELLA 2: DATI REGIONALI DECESSI COVID19
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Infatti, lasciare che i soccorritori si contagino vuol dire aumentare a macchia d’olio il contagio e fiaccare l’animo e la resistenza dei nostri guerrieri
5.La pandemia: Ricadute sulla Spesa Pubblica
Osservando il fenomeno dal punto di vista economico–finanziario, occorre ravvisare una molteplicità di danni.
Il primo tra essi consiste nella spesa da affrontare per i soggetti ricoverati, soprattutto per quelli in terapia intensiva. Va da sé che ogni ricovero evitabile (alla luce di quanto sopra detto), aumenta la spesa necessaria.
Nel Paese in media 1 contagiato su 10 ha bisogno di cure invasive per debellare l’infezione.
In questo senso la domanda sorge spontanea: quanto costa allo Stato un paziente grave affetto da Covid-19?
La terapia intensiva richiede due infermieri dedicati, letti, medicinali, e un ventilatore polmonare per metà del ricovero. Un infermiere costa 30.000,00 euro l’anno, un ventilatore polmonare 4.000,00-17.000,00 euro.
Come evidenziato dall’ESICM (European Society of Intensive Care Medicine) la terapia intensiva è la specialità medica che supporta i pazienti la cui vita è in pericolo immediato.
«Nel caso dell’infezione derivante da Coronavirus può rendersi necessaria per fornire ventilazione artificiale a causa delle gravi difficoltà respiratorie che il patogeno può innescare – spiega Giuliano Rizzardini, infettivologo dell’Unità di Crisi dell’Ospedale Sacco di Milano – La terapia applicata è quindi quella di supporto ad una polmonite tradizionale che va dalla prevenzione di complicanze alla nutrizione per i pazienti che non possono mangiare da soli. A questa va aggiunto il consumo della protezione individuale del personale che è forse il problema principale che stiamo affrontando oltre a quello dei posti letto: alcuni ospedali fanno fatica ad approvvigionarsi. Le protezioni sono tutte mono-uso, il singolo operatore che lavora in un reparto a regime Covid si cambia più volte all’interno del turno perché i dispositivi perdono di efficacia dopo alcune ore. E la situazione è resa ancora più drammatica dal rapporto personale/paziente che molto più alto rispetto ad un reparto normale. Questo mette a rischio il sistema, in quanto una dotazione non sufficiente mette a repentaglio la salute dei dipendenti, chiaramente molto più esposti al contagio»[7].
Ai costi fissi ordinari e alla vestizione del personale, si aggiunge una terapia basata su pochi farmaci: come antivirali idrossiclorochina e il Remdesivir, sviluppato per l’Ebola e potenzialmente efficace contro il nuovo virus oltre alle terapie immunologiche.
“Se la vulgata medica attesta il costo medio giornaliero di un paziente in terapia intensiva intorno ai 1.200/1.300 euro. – conclude Magnone – Nel caso specifico del Covid-19 va aggiunto un 20%, per cui si arriva almeno a 1.500. Considerato un periodo di degenza medio di due settimane, un paziente con complicanze derivanti da Coronavirus può costare più di 20.000 euro allo Stato”, arrivando all’ingentissima somma di € 2.110.788.600,00, come da tabella sottostante (tab. 3).
TABELLA 3: COSTI RICOVERI NAZIONALI COVID 19 GIA’ SOSTENUTI
NUMERO | COSTO PER UNITA’ (2 SETTIMANE DI RICOVERO) | COSTO TOTALE | |
RICOVERATI PRESSO REPARTO | 20.353 | € 16.800,00 | € 341.930.400,00 |
RICOVERATI PRESSO UNITA’ DI TERAPIA INTENSIVA | 1.956 | € 22.500,00 | € 44.010.000,00 |
PAZIENTI DIMESSI | 66.624 | € 16.800,00 | €1.119.283.200,00 |
PAZIENTI DECEDUTI PRESSO UNITA’ DI TERAPIA INTENSIVA | 26.917 | € 22.500,00 | € 605.565.000,00 |
A questo costo devono aggiungersi le seguenti spese relative a:
- Potenziamento delle terapie intensive;
- Costruzione di nuovi ospedali cd da campo;
- Approvvigionamento protezioni individuali (in primis per il personale sanitario) e collettive; 4. Diffusione e divulgazione campagne informative martellanti (per modificare i comportamenti);
- ingenti assunzioni di nuovo personale mediante forme di lavoro flessibile.
Esistono pochi studi sugli effetti economici di una pandemia globale.
Le famiglie con più figli e quelle costituite da lavoratori autonomi sono i nuclei che più di altri subiscono ripercussioni economiche a causa dell’emergenza coronavirus, e per loro il danno può arrivare a superare i 1.000 euro a nucleo. Lo afferma il Codacons, che ha realizzato una prima elaborazione sulle perdite economiche subite dai nuclei familiari a causa dell’emergenza sanitaria in atto nel paese. In generale il coronavirus è costato in media finora 495 euro a famiglia. Questo significa che, complessivamente, il coronavirus ha portato ad un danno totale per le famiglie italiane pari a circa 12,8 miliardi di euro.
Per contrastare tale situazione il Governo ha predisposto diversi piani di aiuto, tra cui i 600,00 euro alle partite IVA; I 4,3 miliardi a valere sul fondo di solidarietà dei Comuni; 400 milioni di ulteriore anticipo rivolto ai comuni col vincolo di destinarlo alle persone meno ambienti per fini alimentari; È stato inoltre approvato il D.L. Liquidità che dà sostegno per 400 miliardi alle piccole, medie e grandi imprese sul territorio nazionale in tempi di crisi economica da coronavirus. Un decreto legge che è “un vero e proprio bazooka di liquidità – come lo ha definito il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri – che porta a più di 750 miliardi il credito mobilitato”.
Una esposizione economica di proporzioni enormi che non potrà non avere ricadute economiche nel futuro post-pandemico.
Il tutto tenendo bene in considerazione anche il lucro cessante dello Stato, dovuto alla mancata riscossione dei tributi, al mancato percepimento dell’IVA sulle fatturazioni delle attività chiuse (si pensi per esempio agli incassi milionari delle società di calcio per gli eventi sportivi), al mancato percepimento delle accise sul costo della benzina (con il traffico auto praticamente azzerato).
Infine, a causa della sua mala gestio una ulteriore tegola si abbatterà sulle casse dello Stato alla fine della emergenza: Le richieste di risarcimento.
Gli operatori sanitari che hanno contratto il Covid 19, per non esser stati messi in condizioni di lavoro sicuro, possono richiedere i dovuti risarcimenti allo Stato tramite cause di servizio, di infortuni professionali e via dicendo. Per non parlare dei cittadini che hanno contratto il Covid-19 negli ospedali durante la degenza per altre patologie.
È appena il caso di ricordare che in caso di exitus mortale, le richieste risarcitorie possono essere proposte dagli eredi, per un ammontare di diversi milioni di euro.
Ai cittadini, inoltre, è data la possibilità di promuovere azioni risarcitorie, singole e collettive (cd. class action), contro lo Stato per i danni cagionati alla collettività da tutte le omissioni sopra evidenziate.
Tirando le fila del discorso può dunque affermarsi che le erronee scelte politiche operate ‘in tempo di pace’, con le quali si sono risparmiati pochi spiccioli a danno della Sanità e della formazione dei suoi operatori, hanno ora travolto lo Stato provocandogli danni per oltre 1000 miliardi di euro, pari a diverse leggi di bilancio degli anni scorsi.
Di tali scelte inopportune e imprevidenti non potremo che pagarne le conseguenze per il prossimo decennio.
E se questi danni esorbitanti possono essere considerati una tantum, la negligenza ed il lassismo degli organi competenti in materia di ICA apporta alle casse statali danni sistematici annuali.
Le infezioni prese in ospedale contano 700mila casi ogni anno in Italia[8], provocando più vittime degli incidenti stradali e con un impatto economico sul servizio sanitario di un miliardo di euro l’anno, nonostante con le nuove linee guida internazionali siano possibili sistemi di profilassi sempre più efficaci che consentono di evitare fino al 30% dei casi.
Le S.s.i., infezioni del sito chirurgico, costituiscono circa il 32% di tutte le infezioni ospedaliere, ma di fatto sono anche le più gravi perché veicolo di complicanze severe. I pazienti che le contraggono sono 5 volte più esposti al rischio di una nuova ospedalizzazione, 2 volte più esposti a quello di degenza in terapia intensiva e 2 volte più esposti al rischio di morte.
Oltre a essere un problema sanitario, le infezioni sono un fenomeno dal notevole impatto socio-economico: una singola infezione ospedaliera ha un costo di circa 9.000-10.500 euro poiché prolunga la degenza del 7,5-10% delle giornate di ricovero. La ricerca “Burden economico delle infezioni ospedaliere in Italia”, realizzata dalla Facoltà di Economia dell’Università di Tor Vergata di Roma ha evidenziato che: “Partendo dal presupposto che le infezioni ospedaliere compaiono in circa 3 casi ogni 1.000 ricoveri in regime ordinario, la stima media annua dei costi raggiunge i 69,1 milioni di euro. Oltre all’incremento della spesa media per singolo ricovero”, così Francesco Saverio Mennini, Research Director Ceis di Tor Vergata, il quale ha anche sollecitato la creazione di un Osservatorio permanente sulle infezioni in collaborazione con il Ministero della Salute.
Dobbiamo quindi costatare con amarezza che la negligenza pesa in bilancio più delle infezioni e delle pandemie.
[1] Piano Nazione di preparazione e risposta a una pandemia influenzale, C.C.M. Centro nazionale per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie del Ministero della Salute 2007/2008
[2] Istituto Superiore di Sanità, Indicazioni ad interim per la prevenzione e il controllo dell’infezione da SARS-COV-2 in strutture residenziali sociosanitarie. Versione 17 aprile 2020. Gruppo di Lavoro ISS Prevenzione e Controllo delle infezioni – COVID-19 2020, ii, 25 p. Rapporti ISS COVID-19 n. 4/2020 Rev.
[3] “Prevenzione e controllo delle infezioni nelle organizzazioni sanitarie e socio-sanitarie – INF-OSS” finanziato dal Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie, CCM- Regione Emilia Romagna – Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale
[4] Ministero della Salute, direzione generale della prevenzione sanitaria ufficio 5 prevenzione delle malattie trasmissibili e profilassi internazionale, Registro Ufficiale.I.005652. 24-02-2020
[5] Consiglio di Stato sez. III 03/10/2019 – n. 6655
[6] Elaborazione Corriere della sera sui dati Fnomceo (federazione nazionale degli ordini dei medici) aggiornato al 26 aprile 2020
[7] https://it.businessinsider.com/terapia-intensive-coronavirus-quanto-costa-allo-stato-italiano-un-paziente-grave/
[8] https://www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/medicina/2017/11/07/le-infezioni-ospedaliere-pesano-1-miliardo-di-euro-lanno-su-ssn_2f2b77d7-52da-4740-9af7-270c1d38b12d.html